di Raffaele Morese
Queste elezioni sono così sconvolgenti che ognuno può vantare una verità interpretativa. Personalmente, non ho una risposta complessiva. So soltanto che più della metà dei votanti ha gratificato chi gli ha spiegato che soltanto con la demagogia si possono risolvere gli “enne” problemi di questo Paese sgangherato. Dopo la caduta del Governo Berlusconi, avevo sperato e dichiarato che, finalmente, a orientare il nostro futuro sarebbe stata la testa e non la pancia degli italiani e ho avuto torto. Ne faccio pubblica ammenda e quindi mi pongo di fronte alla nuova ed inedita situazione con una doverosa modestia e prudenza.
Di conseguenza, non mi azzardo a fare previsioni a breve. Non so se avremo un Governo nuovo o andremo a nuove elezioni. I sentieri che portano all’avvio della legislatura sono così stretti e tortuosi, che le vecchie logiche del negoziato politico non aiutano a far intravvedere gli sbocchi possibili. Ci sono troppi apprendisti stregoni in giro per essere sicuri che ciò che si viene a sapere oggi, regge fino a domani. Ripiego, quindi, sulla suggestione di tendenze di fondo che mi sembrano meritevoli di valutazione per un riposizionamento della dialettica futura.
La prima. Questo sistema elettorale fa proprio schifo. Calcolare in modo differenziato la rappresentanza alla Camera e al Senato è un’insensatezza sconfinata. Credo che se ne siano accorti tutti i cittadini e che si sia consolidata la convinzione che occorra proprio una nuova legge. Guardando al risultato, mi sembrano rafforzate le ragioni sia a favore della scelta del candidato da parte dell’elettore, sia della convenienza per tutti che si vada verso un sistema a doppio turno. Nel primo, si confrontano le varie opzioni e le si pesano. Nel secondo, si assicura - senza se e senza ma - la governabilità. Dovrebbe essere questo il primo impegno della futura legislatura, se parte.
La seconda. Non è chiarissimo se gli italiani vogliono far parte dell’Europa. Con il Governo Monti sembrava che, sia pure tra mugugni e grida, questa scelta non fosse messa in discussione. Con le elezioni, la certezza è meno scontata. Sono state premiate le forze che hanno sparlato dell’Europa, che hanno sbeffeggiato lo spread, che hanno fatto credere che fuori dall’Europa si può stare meglio e in forza di questo chiedono un referendum sull’euro (on line! Sic!). Se la legislatura parte, c’è bisogno di una conferma limpida della scelta, anche se occorrerà ricontrattare le condizioni dello stare assieme, a partire da una visione comune della necessità di sostenere la crescita. Se invece si andrà a nuove elezioni a breve, questo sarà un tema ineludibile e su cui non scherzare.
La terza. Il grave disagio politico è conseguenza di un grande disagio sociale. La coesione è messa a dura prova. Ce n’è anche per il sindacato, se la diagnosi è così cruda. La sua mancanza di unità, da troppo tempo, lo ha reso sempre più debole e ininfluente, sempre più alla ricerca della stampella della legge che alla cura della contrattazione e della concertazione, sempre più sulla difensiva e lontano dai non garantiti. Se la legislatura parte, la frammentazione sociale non la potrà frenare nessuna demagogia legislativa. Mentre un rinnovato protagonismo sindacale, ispirato alla solidarietà tra garantiti e non garantiti, potrà agevolare la ricerca di soluzioni condivise dalla gente. Ma essenziale è la ripresa di una iniziativa unitaria.
Ovviamente, molte altre questioni stanno ribollendo nel pentolone della crisi di identità degli italiani. Ma questi mi sembrano i problemi più essenziali per uscire dallo stallo, dallo sbigottimento, dallo spaesamento che ha colpito il Paese, da lunedì 25 febbraio.