Siamo ancora sull’orlo del baratro e molte forze politiche agiscono come se l’Italia fosse al di fuori da ogni rischio di bancarotta della finanza pubblica e di recessione prolungata.
Inoltre, è bastato un improvviso rialzo dello spread per riaccendere i riflettori sul debito pubblico italiano. Ma, in realtà, la sua drammaticità non è stata mai scalfita, nonostante le misure durissime prese dal Governo Monti.
Il dato di fatto è che la dimensione del debito è tale che gli oneri per gli interessi continuano ad assorbire larghissima parte dell’avanzo primario del Bilancio dello Stato. Non ci sono risorse, né per finanziare la crescita economica, né per ridurre le tasse, né per sostenere i consumi. Non a caso registriamo un Pil negativo e livelli di disoccupazione inediti.
LEGGI TUTTO E SOTTOSCRIVI CON UN TUO COMMENTO
Ad aggravare la situazione, c’è che nel corso di quest’anno e del prossimo deve essere rinnovata una quota record del debito pubblico: una continua minaccia per la nostra stabilità, soprattutto in un quadro di perdurante incertezza nei mercati finanziari internazionali.
Tutto ciò fa del debito pubblico, del suo stock piuttosto che dei suoi flussi, un problema ineludibile.
Non ci sono soluzioni facili per questioni di tale spessore. Ma l’urgenza di dare risposte alle esigenze di crescita economica, di occupazione (specie giovanile e femminile) e di equità sociale impone di ricercare una terapia d’urto che operi su più fronti. Ne proponiamo alcuni che implicano una forte volontà politica che non sembra ancora nelle disponibilità del Governo Monti e della sua anomala maggioranza parlamentare; le contraddizioni al proprio interno sostanzialmente frenano qualsiasi vera iniziativa che abbia le caratteristiche dell’intervento in grado di ricostruire la speranza nel futuro.
Nonostante questi limiti, restiamo convinti che compito della politica sia di porre l’accento su ciò che va realizzato oggi, per dare senso al domani.
- In primo luogo, occorre promuovere una forte iniziativa a livello europeo per far decidere a tutti i Paesi dell’Unione l’introduzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie internazionali e la ristrutturazione dei loro debiti, attestandoli ad un rapporto debito/Pil condiviso; i surplus vanno convogliati in un unico Fondo che, a sua volta, emetta eurobonds per garantire quel debito, diventato europeo. In questo modo, si può continuare a chiedere agli Stati il rispetto degli impegni presi sulla politica di rigore, mettendoli però in condizione di avviare anche concrete politiche di crescita.
- A scala nazionale, va definito un programma organico di cessione di proprietà dello Stato attualmente inutilizzate o poco utilizzate, compresi significativi assets industriali e nei servizi pubblici non strategici ai fini dello sviluppo, con le modalità e le condizioni di valorizzazione per la migliore allocazione sui mercati; tutto il ricavato deve essere utilizzato per ridurre lo stock del debito pubblico.
- Infine, si dovrà mettere in atto un coinvolgimento dei privati con un prelievo di carattere straordinario da applicare nei confronti delle grandi ricchezze mobiliari ed immobiliari.
Queste misure di carattere immediato, vanno inserite in un contesto di interventi strutturali che, da un lato, devono assicurare un forte risparmio di spesa pubblica, quali:
- la riduzione dei costi della politica, finora largamente elusa;
- una maggiore efficienza della Pubblica Amministrazione centrale e locale, con drastici interventi sugli sprechi, sulle sovrapposizioni e sulla disorganizzazione, per ridare virtuosità all’azione pubblica;
- una rapida e concreta liberalizzazione dei servizi pubblici locali fondata su un nuovo patto tra cittadini e amministrazioni e favorendo le forme di gestione proprie dell’economia sociale.
Dall’altro lato, è necessario procedere a significative riduzioni del peso tributario sui lavoratori, vincolando a tal scopo i proventi della lotta all’evasione e all’elusione fiscali.
Le risorse liberate vanno destinate a settori e soggetti prioritari. Innanzitutto al sistema industriale, che deve essere posto nelle condizioni di fare massicci investimenti in innovazione di prodotto e di processo, in riorganizzazioni produttive e in innalzamento della qualità professionale dei lavoratori. Inoltre, all’economia sociale, che ha un grande ruolo di sussidiarietà nella creazione di attività imprenditoriali giovanili ma anche per l’affermazione di un nuovo welfare, adeguato alle esigenze del territorio e delle famiglie. Infine, al Mezzogiorno che va sottratto al condizionamento dell’economia sommersa e dei centri di potere malavitosi e mafiosi, sostenendo soprattutto le iniziative che intervengono nella qualità della vita locale e sulla trasparenza (scuola, sanità, informazione, ecc.).
L’appello a muoversi con queste priorità e con determinazione, nasce dalla constatazione che la crescente disoccupazione e sottoccupazione - soprattutto giovanile, femminile e meridionale - sta alimentando sia una pericolosa disgregazione sociale, sia un allarmante distacco tra società civile e sistema politico ed istituzionale. Il tempo a disposizione non è infinito ed il clima di emergenza non deve essere usato soltanto per spaventare ma in particolar modo per riuscire a traguardare aspettative e speranze che superino l’immediato. A tal fine, bisogna chiamare chi ha responsabilità politiche ed istituzionali e chi ha responsabilità sociali, sindacali e culturali ad assumere decisioni rilevanti, ma anche tali da coinvolgere la società civile perché diventi sempre più protagonista dei cambiamenti necessari a ricostruire una speranza collettiva.