di Raffaele Morese
I numeri parlano chiaro. Nell’Eurozona si è toccato il 10,9% di disoccupazione totale e il 22,1% di disoccupazione giovanile (under 25). Sopra la media, per citare gli Stati più grandi, Spagna, Francia e Italia; sotto la media, Inghilterra, Germania, Olanda. Ma la tendenza, per tutti – tranne la Germania, Finlandia e Repubblica Ceca – è a salire. I Governi sembrano seriamente preoccupati e si preparano ad un impegnativo incontro nella seconda metà di giugno per discutere di crescita. L’appuntamento fu fissato prima delle elezioni francesi, ma è evidente che l’elezione di Hollande ha accentuato le aspettative di quanti attendono che le scelte bruxellesi siano più marcatamente keynesiane.
Ma i rigoristi non se la sentono di smentirsi e non vogliono che ciascun Paese adotti misure che allentino le politiche di austerità. C’è un solo modo per evitare il conflitto tra esigenza di buon governo dei bilanci degli Stati e necessità di immettere risorse e progetti per bloccare la deriva recessiva e l’impennata della disoccupazione: far assumere all’Europa il ruolo di volano della crescita. Gli strumenti sono stati da tempo individuati: c’è la proposta della Commissione dei saggi, composta da economisti rinomati, che è organo ufficiale di consultazione del Governo tedesco, che propone di costituire un fondo europeo dove mettere i debiti di singoli Stati che superano una certa soglia e consentire così politiche espansive; c’è la proposta avanzata da più parti di puntare su Euro bond che finanziano grandi progetti di innovazione trans europea.
Le proposte non mancano. Quella che non si vede è la volontà politica di rilanciare l’Europa. Perché, al dunque, di questo si tratta. Un’Europa che tira soltanto la cinghia non può essere apprezzata dalla gente, né dai mercati. Ma un’Europa che parli al futuro, tuttora non emerge. E questo è il nodo che le classi dirigenti europee devono necessariamente sciogliere.