di Marino Lizza
Per salvare l’Italia dalla bancarotta il Presidente Monti è impegnato nella difficile partita europea per garantire la tenuta della moneta unica. Fortunatamente nelle ultime settimane alcuni pesi massimi hanno apertamente dichiarato di giocare nella stessa squadra, impegnandosi a superare la riottosità dei loro fronti interni (il board della BCE per il Presidente Draghi e la coalizione di governo per la cancelliera Merkel). Un altro importante membro della squadra, Il Presidente Hollande, non ha problemi interni, disponendo di un potere politico praticamente senza precedenti nella storia della quinta Repubblica. Se sarà capace di tirare la Francia fuori dalle nebbie del neo-protezionismo e dell’eccessivo protagonismo dello Stato nell’economia darà un contributo decisivo per la ripresa di tutto il continente.
Da buon economista Monti utilizza la regola dell’asservimento di tutti (o quasi) gli strumenti a sua disposizione nel tempo dato per conseguire l’arduo obiettivo di mettere i conti in ordine, precondizione perché l’Italia non trascini l‘Euro nel baratro. La politica fiscale restrittiva e il depennamento della concertazione sono entrambi strumentali al pareggio di bilancio, dal punto di vista algebrico la prima, da quello della capacità di manovra la seconda. Ovviamente una tale politica è musica per le orecchie delle cancellerie europee, che non sono chiamate a garantire il benessere futuro di italiani, spagnoli, portoghesi, irlandesi e greci, ma si occupano della tenuta dello status quo quale pilastro della prosperità dei loro concittadini.
Ciò detto, è evidente che il plauso dei nostri partner europei o dell’Economist per il salasso che ci stiamo autoinfliggendo non è garanzia di futuro. Impegnati come siamo a discutere sulla tenuta del Governo fino alla primavera del 2013, nessuno pone seriamente il tema di cosa fare dopo. Anzi, nessuno si permette di adombrare l’opportunità di politiche economiche diverse, che si facciano carico dei problemi endemici del Paese. Posto che il rigore della spesa pubblica dovrà rimanere un impegno per i prossimi Governi, contenere il disavanzo corrente del bilancio non vuol dire aggiustare i fondamentali macroeconomici e, di conseguenza, conseguire tassi di crescita accettabili (indispensabili peraltro per ridurre il rapporto Debito/PIL).
Dall'introduzione dell'Euro Italia e Spagna hanno perso il 30% di competitività sulla Germania. Per tornare a crescere senza poter svalutare è necessario aumentare la produttività (del lavoro e del capitale) e riassorbire parte della dilagante disoccupazione. E’ decisivo non solo impiegare risorse per politiche economiche mirate (favorire la ripresa della domanda interna tramite la riduzione delle tasse sul lavoro, sostenere l’aumento di dimensione delle imprese, supportare la ricerca di base e applicata, recuperare qualità ed efficienza nel sistema dell’istruzione) ma anche migliorare drasticamente gli standard di governance del sistema economico complessivo: diminuire la corruzione, ridurre il nero, aumentare lo stato di diritto. Questi aspetti sono dirimenti nell’invertire la tendenza al declino. Da un recente report della Banca Mondiale su Worldwide Governance Indicators, emerge che su tali standard di governance i paesi europei del sud registrano performance molto peggiori (e in peggioramento nei prossimi anni) rispetto ai partner del nord Europa. Rimane difficile fare impresa e creare buona occupazione se dobbiamo attendere Bud Spencer e Terence Hill per cacciare i cattivi dalla vallata!